Sono stati diversi i tentativi di riformare la legge sulla cittadinanza, che si sono succeduti nel tempo e sono puntualmente caduti nel vuoto. Anche nel corso di questa legislatura, sono state depositate tre diverse proposte di riforma, che tuttavia giacciono da oltre due anni presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati. Allora, quando i lavori parlamentari erano in corso, abbiamo sottoposto alla Commissione le nostre proposte sulla riforma, elaborate sulla base delle segnalazioni e richieste di assistenza rivolte al nostro servizio nazionale di tutela da centinaia di persone alle prese con il lungo e farraginoso iter di accesso allo status di cittadino. Proposte tuttora in buona parte valide ed attuali. Oggi, come allora, siamo convinti che occorra una riforma organica della materia, che non si limiti ad introdurre singole modifiche, ma che intervenga su tutte le modalità di acquisto della cittadinanza, con la generale finalità di ampliarne l’accesso.

Nel 2020, l’80% delle acquisizioni di cittadinanza è avvenuta per residenza (la cosiddetta “naturalizzazione”). Nonostante ciò, in questo ambito, la normativa vigente è tra le più restrittive in Europa, sia relativamente ai requisiti residenziali richiesti, sia tenendo conto della discrezionalità del procedimento amministrativo, che si conclude con un provvedimento concessorio e non legato in maniera automatica alla maturazione dei requisiti previsti. Occorre, pertanto, una revisione profonda della c.d. naturalizzazione, a partire dalla riduzione del periodo di residenza richiesto per la presentazione della domanda, dalla eliminazione di ogni elemento di discrezionalità nella sua valutazione, alla revisione dei requisiti reddituali e delle rigidità legate alla continuità residenziale. Le lacune più macroscopiche presenti nella normativa vigente in materia di acquisto della cittadinanza riguardano la condizione dei minori nati sul territorio nazionale da genitori stranieri e quella dei minori che, seppure non vi sono nati, sono cresciuti in Italia e qui intraprendono e completano il ciclo scolastico. I primi sono destinati a rimanere stranieri fino al compimento della maggiore età, soltanto raggiunta la quale è possibile presentare la domanda di cittadinanza, ed a restare in attesa per un periodo indefinito e senza certezza sull’esito del procedimento, stante la rigidità, anche in questo caso, dei requisiti residenziali richiesti e le frequenti difficoltà di certificazione della stessa. I secondi sono destinati a rimanere stranieri, obbligati a richiedere ed ottenere un titolo di soggiorno una volta compiuti 18 anni e addirittura paradossalmente soggetti a rischio di espulsione.Occorre, pertanto, modificare la legge introducendo per i minori presenti sul territorio nazionale le possibilità più ampie di accesso alla cittadinanza, da configurare in modo netto come diritto soggettivo e semplificando i procedimenti volti al suo riconoscimento. Al contempo, in attesa della riforma della legge, è quantomai necessario contenere i tempi di risposta sulle domande di cittadinanza, semplificarne ed accelerarne l’iter burocratico e uniformare le prassi amministrative. Per migliaia di persone, infatti, l’accesso alla cittadinanza costituisce un vero e proprio percorso ad ostacoli, che può durare anni, senza nessuna certezza sui tempi di risposta e sull’esito, con ricadute significative e concrete sulla vita dei richiedenti. A tutti loro è rivolta la campagna Obiettivo Cittadinanza.

Classe 75, napoletana di origine, un po’ marchigiana, un po’ romana, un po’ cittadina del mondo (apolide per caso e per scelta). Avvocato penalista ed immigrazionista, appassionata di diritti umani da sempre.
“La mia casa continuerà a viaggiare su due gambe e i miei sogni non avranno frontiere” (Ernesto Che Guevara)

Condividi