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A seguire, una panoramica su costo e accessibilità degli asili nido comunali.

Cittadini e asili nido comunali in Italia, tra caro rette e liste di attesa (tratto dal dossier Asili nido 2012)

Premessa

Gli asili nido comunali rivestono ormai grande interesse pubblico: in quanto servizi per l’infanzia accessibili e di buona qualità contribuiscono a conciliare in modo rilevante  vita familiare e lavorativa e quindi a promuovere una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro. La disponibilità di servizi per l’infanzia può fornire una risposta importante ai tassi di natalità decrescenti, abbassando il costo della gravidanza in termini di prospettive di carriera sul mercato del lavoro. Di recente, inoltre, si sono moltiplicati gli sforzi volti a leggere i servizi per la prima infanzia secondo una prospettiva pedagogica e sociale, in base alla quale essi non rappresentano più solo una soluzione per la custodia e la cura del bambino, ma piuttosto un contributo al suo sviluppo ed alla sua integrazione socio economica.

Asili nido, l’Europa è lontana

L'importanza di fornire adeguati servizi per l’infanzia è stata riconosciuta a livello Europeo, infatti l’Agenda di Lisbona ha definito alcuni obiettivi espliciti riguardo la loro fornitura: confermando l'obiettivo della piena occupazione, il Consiglio d'Europa ha stabilito la necessità, per tutti gli Stati membri, di rimuovere i disincentivi alla partecipazione femminile al mercato del lavoro e lo sforzo di fornire servizi per l’infanzia in misura tale da coprire, entro il 2010, almeno il 90% dei bambini fra 3 e 6 anni, ed almeno il 33% dei bambini sotto i 3 anni. L'importanza di questi obiettivi è stata ribadita dal Consiglio nelle linee guida per  l’occupazione (2008-10).

In realtà, la diffusione di tali servizi differisce in modo notevole all’interno degli Stati membri ed in molti Paesi (tra cui l’Italia) si è ancora molto lontani dall’obiettivo fissato.

L’inadeguato sviluppo dei servizi per la prima infanzia è strettamente connesso alla visione tradizionale della “cura” dei bambini, delegata esclusivamente alla famiglia. I nidi di infanzia sono presenti soprattutto nelle aree cittadine e rappresentano una sorta di “ultima spiaggia” per i genitori entrambi lavoratori.

Facendo un confronto tra i posti disponibili e la potenziale utenza (numero di bambini in età 0-3 anni) in media in Italia la copertura del servizio è del 6,5% (percentuale che sale all’13,3% se consideriamo solo i capoluoghi di provincia) con un massimo del 15,2% in Emilia Romagna ed un minimo dell’1% scarso in Calabria e Campania.

Questo dato conferma non solo quanto l’Italia sia lontana dall’obiettivo comunitario che fissa al 33% la copertura del servizio, ma anche dal resto dei Paesi europei: Danimarca, Svezia e Islanda si contraddistinguono per il più alto tasso di diffusione dei servizi per la prima infanzia (con una copertura del 50% dei bambini di età inferiore ai tre anni), seguiti da Finlandia, Paesi Bassi, Francia, Slovenia, Belgio, Regno Unito e Portogallo (con valori tra il 50% e il 25%). Percentuali comprese tra 25 e 10% si registrano, oltre che nel nostro Paese, in Lituania, Spagna, Irlanda, Austria, Ungheria e Germania. Infine, valori inferiori al 3% si riscontrano in Polonia e Repubblica Ceca.

Come già anticipato, esiste una forte correlazione tra la presenza di strutture per la prima infanzia e il tasso di occupazione femminile. I livelli dell’occupazione nazionale restano distanti dagli obiettivi fissati dal Consiglio di Lisbona nel 2000, che prevedevano il raggiungimento, entro il 2010, di un tasso di occupazione totale pari al 70 per cento, e per le donne pari al 60 per cento.

Dal rapporto Doing Better for Family, pubblicato dall’Ocse nell’aprile 2011, che ha analizzato la condizione delle famiglie dei 34 Paesi Membri, viene fuori che in Italia c’è bisogno di più politiche per conciliare lavoro e famiglie. Il nostro Paese risulta caratterizzato da un basso tasso di occupazione femminile, da un basso tasso di natalità e da un alto rischio di povertà infantile. In concreto l'Italia è ben al di sotto della media rispetto a tutti e tre gli indicatori presi in esame. Questo perchè da un lato risulta molto difficile conciliare lavoro e figli, mentre dall'altro occorrerebbe una maggiore occupazione dei genitori per ridurre il rischio di povertà infantile.

Rispetto a molti altri Paesi membri, le donne italiane risultano più in difficoltà nel conciliare figli e lavoro, e ciò comporta spesso il dover scegliere tra avere un lavoro o avere dei figli. Il risultato di questa situazione è un basso tasso di natalità (pari secondo l'Istat nel 2010 a 1,41 figli per donna) e un basso tasso di occupazione femminile (pari al 48% contro una media Ocse del 59%). I giovani italiani anche per avere una posizione lavorativa più stabile, spesso posticipano l'età in cui avere un figlio, col rischio di perdere ogni treno. Infatti, nel nostro Paese ci sono molte donne senza figli, molto più che altrove. Ad esempio quasi una donna su quattro di quelle nate nel 1965 non ha figli, contro una su dieci di quelle francesi nate nello stesso anno.

Il tasso di povertà infantile in Italia é pari al 15% ma il rischio di povertá é estremamente alto per i bambini che vivono in famiglie in cui entrambi i genitori sono disoccupati. Circa l’88% dei bambini che vivono con un genitore solo e disoccupato sono poveri (la media Ocse é 62%). Analogamente, il 79% dei bambini che vivono con due genitori disoccupati sono poveri; la percentuale scende al 22% quando solo uno dei due genitori ha un lavoro (le medie Ocse sono, rispettivamente, 50% e 17%).

L’Italia spende circa 1,4% del PIL per le famiglie con bambini, mentre nell’Ocse in media si spende il 2,2%. I genitori che hanno un lavoro hanno diritto ad 11 mesi di congedo parentale retribuito di cui 5 mesi di maternità generalmente retribuiti al 100% dello stipendio, ma la retribuzione é bassa per il resto del congedo. Circa il 29% dei bambini al di sotto dei 3 anni usufruiscono dei Servizi all’Infanzia, una cifra di molto inferiore alla percentuale dei bambini iscritti alla Scuola dell’Infanzia (il 98% dei bambini tra i 3 e i 5 anni). Solo il 6% dei bambini tra i 6 e gli 11 anni è iscritto a servizi di pre e dopo scuola, in parte a causa di finanziamenti ridotti che riducono l’offerta di questi servizi sul territorio.

I costi del servizio

302 euro al mese che, considerando 10 mesi di utilizzo del servizio, portano la spesa annua a famiglia a più di 3.000€. Tanto costa mediamente in Italia mandare il proprio figlio all’asilo nido comunale, fra difficoltà di accesso, alti costi e disparità economiche tra aree del Paese difficili da giustificare: in una provincia, la spesa mensile media per il tempo pieno può avere costi anche tre volte superiori rispetto ad un’altra provincia, e doppi tra province nell’ambito di una stessa regione.

Ad esempio, a Lecco la spesa per la retta mensile, di 547€, è 7 volte più cara rispetto a Catanzaro (70€), il triplo rispetto a Roma (146€) e più che doppia rispetto a Milano (232€). Marcate differenze anche all’interno di una stessa regione: in Veneto, la retta più cara, in vigore a Belluno (525€ mese per il tempo pieno) supera di 316€ la più economica registrata a Venezia. Analogamente nel Lazio la retta che si paga a Viterbo (396€) supera di 250€ la più economica registrata a Roma. E le differenze ci sono anche tra le realtà che hanno il tempo ridotto: al Sud, in Sicilia tra la retta di Caltanissetta (220€) e quella di Agrigento la differenza è di 130€.

L’analisi, svolta dall’Osservatorio prezzi & tariffe di Cittadinanzattiva ha considerato una famiglia tipo di tre persone (genitori e figlio 0-3 anni) con reddito lordo annuo di 44.200€ e relativo Isee di 19.900€. I dati sulle rette sono elaborati a partire da fonti ufficiali (anni scolastici 2010/11 e 2011/12) delle Amministrazioni comunali interessate all’indagine (tutti i capoluoghi di provincia). Oggetto della ricerca sono state le rette applicate al servizio di asilo nido comunale per la frequenza a tempo pieno (in media, 9 ore al giorno) e, dove non presente, a tempo ridotto (in media, 6 ore al giorno), per cinque giorni a settimana.

Tariffe in crescita. Nel 2011/12, ben 39 città hanno ritoccato all’insù le rette di frequenza, e 6 capoluoghi registrano incrementi a due cifre: Bologna (+29,7%), Vibo Valentia (+29%), Perugia (+21,8%), Genova (+15,2%), Livorno (+13,9%), Sassari (+10%). In positivo, il dato nazionale della spesa media mensile è rimasto invariato rispetto all’anno passato.

Tempo pieno, nel 2011/12 le 10 città più care

..e le meno care

Lecco

547 €

Catanzaro

70 €

Belluno

525 €

Vibo Valentia

120 €   

Sondrio 

486 €

Cagliari

133 €

Bergamo

474 €

Roma

146 €

Mantova

470 €

Reggio Calabria

158 €    

Cuneo

458 €

Chieti

162 €

Lucca

444 €

Venezia

209 €

Pisa

431 €

Salerno

218 €

Bolzano

426 €

Rovigo

219 €

Udine

424 €

Macerata

220 €

Fonte: Cittadinanzattiva-Osservatorio Prezzi & Tariffe, 2012

REGIONE

SPESA MEDIA MENSILE PER NIDO COMUNALE
2011/12

SPESA MEDIA MENSILE PER NIDO COMUNALE
2010/11

VARIAZIONE %
2011/12 su 2010/11

Abruzzo

€ 255

€ 255

+0%

Basilicata

€ 313

€ 313

+0%

Calabria

€ 114

€ 110

+3,6%

Campania

€ 212

€ 209

+1,4%

Emilia Romagna

€ 331

€ 319

+3,8%

Friuli Venezia G.

€ 380

€ 377

+0,8%

Lazio

€ 283

€ 283

+0%

Liguria

€ 340

€ 322

+5,6%

Lombardia

€ 403

€ 400

+0,8%

Marche

€ 305

€ 301

+1,3%

Molise

€ 223

€ 223

+0%

Piemonte

€ 370

€ 366

+1,1%

Puglia

€ 210

€ 235

-10,1%

Sardegna

€ 238

€ 228

+4,4%

Sicilia

€ 213

€ 216

-1,4%

Toscana

€ 351

€ 344

+2%

Trentino Alto A.*

€ 354

€ 281

-

Umbria

€ 285

€ 255

+11,8%

Valle d’Aosta

€ 413

€ 405

+2%

Veneto

€ 337

€ 337

+0%

Italia

€ 302

€ 302

+0%

Fonte: Cittadinanzattiva – Osservatorio prezzi&tariffe, 2012 - *L'importo del 2010/11 corrisponde alla retta applicata nella sola città di Trento in quanto non  è stato possibile procedere al calcolo della retta per la città di Bolzano.

 

Liste di attesa.  Dall’analisi di dati in possesso al Ministero degli Interni e relativi al 2010, emerge che il numero degli asili nido comunali ammonta a 3.623 (+6% rispetto al 2009) con una disponibilità di 141.618 posti (+3% rispetto al 2009). In media il 23,5% dei richiedenti rimane in lista d’attesa. Il poco edificante record va alla Calabria con il 39% di bimbi in lista di attesa, seguita da Campania (37%) e Sicilia (+36%).

Il commento di Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva: “Dall’indagine effettuata è evidente che ancora oggi manca nel nostro Paese un sistema di servizi per l’infanzia equamente diffuso ed accessibile su tutto il  territorio e adeguate agevolazioni fiscali a sostegno dei nuclei familiari con bambini piccoli. Le misure a favore di tali servizi rappresentano un investimento intergenerazionale che produce effetti nel lungo periodo e quindi di scarso “appeal” per una classe politica poco lungimirante e concentrata sul consenso immediato. D’altro canto la riduzione delle risorse a disposizione degli enti locali e la rigidità del patto di stabilità non aiutano a far ripartire gli investimenti in tal senso anzi contribuiscono a tagliare sempre di più le risorse destinate alla spesa sociale. Di questo passo difficilmente riusciremo a colmare il gap nei confronti dell’Europa e centrare la copertura del servizio del 33% già prevista per il 2010".

Copertura del servizio. A livello nazionale, a più di trent’anni dalla legge 1044/1971 che istituì gli asili nido comunali, se ne contano 3.623 (a fronte dei 3.800 asili pubblici previsti già per il 1976), un numero insufficiente benché in crescita rispetto ai 3.184 registrati nel 2007. Il servizio di asilo nido pubblico è presente solo nel 18% dei comuni italiani; nel loro insieme il 60% è concentrato nelle regioni settentrionali, il 27% al Centro e solo il restante 13% al Sud.