
Quello della giustizia penale è un tema estremamente complesso, che coinvolge i principi cardine dello stato di diritto, il perseguimento della legalità, le ragioni della pretesa punitiva statuale e le funzioni della pena, la sicurezza della collettività. E, dal punto di vista dei singoli cittadini, impatta sulle loro vite e il loro dolore, siano essi vittime o autori di reato. Un terreno contrassegnato dalla complicata ricerca di soluzioni di equilibrio, capaci di bilanciare i principi del giusto processo, le garanzie del sistema accusatorio, l’esigenza della ragionevole durata, la missione costituzionale della pena.
Difficile trovare traccia di tutto ciò nelle politiche penali prodotte negli ultimi decenni, ostaggio dell’eterno conflitto tra magistratura e classe politica. Politiche contrassegnate nel tempo dapprima dal “garantismo selettivo” dell’era delle “leggi ad personam”, generatrici di sacche di impunità per i reati dei cosiddetti colletti bianchi e della contestuale penalizzazione della devianza dei soggetti marginali; poi dall’uso - e l’abuso - simbolico del diritto penale, forgiato sulla retorica securitaria e sulla costruzione di spauracchi sociali, in primis con la criminalizzazione dell’immigrazione; fino al populismo penale degli ultimi anni, con la continua promessa di repressione come unica risposta efficace al contenimento ed alla prevenzione di ogni tipologia di crimine e devianza e della demagogia sulla certezza della pena intesa come certezza del carcere, all’origine delle modifiche introdotte sulla prescrizione dei reati con la cosiddetta “legge spazzacorrotti” e del Disegno di legge di riforma della giustizia penale promossa dal precedente Ministro Guardasigilli.