Sono ormai passati 12 anni da quando il nostro movimento, che all’epoca si chiama Movimento Federativo Democratico, scelse di cambiare il proprio nome in Cittadinanzattiva.
Lo fece per una coerenza con i tempi, con le situazioni e con le storie di questo paese; lo fece per dare seguito ad un percorso culturale e politico che durante tutti gli anni '90 vide il movimento su posizioni avanzatissime in tema di partecipazione e attivismo civico; lo fece perché le intuizioni degli inizi stavano portando a maturazione un passaggio epocale che di lì a poco avrebbe costituzionalizzato la cittadinanza attiva come potere della Repubblica e parte essenziale di essa con la riforma del 2001 all’articolo 118 u.c. (“Stato, Regioni, città metropolitane, Provincie e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”).
Oggi, a distanza di 12 anni, guardando alle nostre spalle possiamo dire con soddisfazione, orgoglio e un pizzico di autocompiacimento che ce l’abbiamo fatta.
Ma è solo un attimo, perché volgendo lo sguardo davanti a noi la strada resta lunga, dura, impervia.
Perché nonostante la cittadinanza attiva sia entrata di diritto nella Carta costituzionale, molti restano gli ostacoli al dispiegarsi delle potenzialità, delle opportunità e delle opzioni.
Intanto è opportuno, per una riflessione condivisa, fare l’elenco della spesa, cioè di tutti quei soggetti che, a vario titolo, interloquiscono con le varie forme della cittadinanza attiva: la pubblica amministrazione a tutti i livelli (ministeri, regioni, provincie, comuni, circoscrizioni, ecc.) e in tutti i settori pubblici (Aziende Sanitarie Locali, Aziende Municipalizzate e via discorrendo), il settore privato, lo stesso mondo dell’associazionismo declinato con le varie denominazioni che ancora difettano di cogenza (terzo settore, non-profit, volontariato, onlus, ecc.) effettiva e i singoli cittadini.
Negli anni 90 abbiamo assistito ad un fiorire di leggi sul terzo settore: è del 1991 la legge sul volontariato, nel 1996 viene prodotta la norma relativa alle ONLUS, nel 1998 nasce la norma che tutela i diritti dei consumatori, nel 2000 vede la luce la legge sulle associazioni di promozione sociale e via discorrendo fino ai giorni nostri.
Purtroppo le diverse leggi di settore (volontariato, consumatori, promozione sociale, Onlus, ecc.) sono state realizzate utilizzando un paradigma concettuale di riferimento frammentario, quello del cittadino "a pezzi": in un'occasione questo cittadino è "volontario", in un'altra è "consumatore", in un'altra ancora è "promotore sociale" e così via.
Sostanzialmente abbiamo pagato duramente la difficoltà di far passare un messaggio ed un'idea di cittadino piena e senza aggettivazioni riduttive. Perché ogni caratterizzazione evidenzia sì un aspetto, ma ne delimita e limita fortemente le potenzialità.

Dal punto di vista interno, l'organizzazione del movimento si è centrata, quindi, più che sulla normativa, sui fatti concreti, sui problemi e sulle politiche da affrontare.
In questo modo, probabilmente, si è sviluppato un movimento capace di rispondere alle reali esigenze dei cittadini in modo diretto, rapido ed efficace.
Ma si è sicuramente entrati in una sfera di difficoltà per quanto riguarda invece l’aspetto esterno, legato in particolare alle norme di settore ed al rispetto "formale" delle stesse.
Va anche detto che spesso la logica con la quale sono state prodotte le norme di settore ha risposto a bisogni di parte e a interessi di alcuni gruppi, più che a interessi generali ed alla volontà di regolamentare un fenomeno come quello dell’attivismo civico, in rapida e costante espansione nel nostro come in altri paesi.
Da questa oggettiva difficoltà operativa si sono attivate soluzioni spesso diverse da regione a regione che hanno risposto in prima battuta, più che a oggettive riflessioni sull'identità, a esigenze immediate: avere una sede fisica, avere un finanziamento per sostenere attività, avere persone e risorse per tenere aperte le sedi e così via.

Ad esempio, si evince un impianto sostanzialmente restrittivo per la concessione dello status di Onlus che risponde in prima battuta ad un'idea di regolamentazione dei rapporti sociali, che vede lo Stato permettere o meno determinate libertà, modulare autorizzazioni atte a concedere benefici di carattere economico e/o fiscale, determinare, infine, con successive disposizioni i confini di un ambiente che altrimenti non potrebbe essere governato diversamente nelle intenzioni del legislatore.

L'idea sostanziale che ne emerge è quella di uno Stato che determina gli indirizzi e anche le pratiche, condizionando pesantemente gli assetti anche interni delle realtà associative.

La risposta di tipo burocratico dei vari enti a questo punto è la logica conseguenza a input di natura prettamente politica.

Come uscirne?

Una possibile soluzione è quella di ribaltare lo schema con il quale fin ad oggi si regolamenta "la materia", e proporre pertanto delle interpretazioni innovative di carattere generale che possano costituire la base per un nuova interpretazione della realtà.

I concetti sui quali porre le basi per questa nuova interpretazione possono essere così elencati:

  • piena autonomia dei soggetti sociali rispetto allo stato ed al mercato (una nuova libertà di associazione);
  • verifica delle associazioni da parte dello Stato, solo per le attività direttamente finanziate dallo stesso (lo stato garante e non più gendarme);
  • promuovere azioni di sussidiarietà piuttosto che regolare rapporti di potere, ad esempio si potrebbe istituire una banca dati nazionale centrata sulle attività realizzate dalle organizzazioni (la sussidiarietà come metodo);
  • costruzione e affermazione di un paradigma paritario tra i diversi soggetti: lo stato nelle sue articolazioni, il mondo delle imprese e le associazioni (stato-mercato-non profit);
  • rilevanza e non più solo rappresentanza delle organizzazioni civiche: la rilevanza poggia la sua ragion d’essere non sul mero numero, su chi rappresenta quanti, su l’indefinito, ma nasce, si sviluppa e cresce sul terreno del concreto, del conosciuto, del sapere appreso, anche da uno solo, ma messo a disposizione di tutti. La rilevanza, così letta, è garanzia anche per le "minoranze" rispetto alla logica democratica, dove vince chi ha un voto in più: perché si possono avere anche maggioranze numeriche elevate, ma il diritto di partecipare alla decisione da parte di chi ha concreta conoscenza di un dato fenomeno diventa "rilevante" per la decisione finale.

E’ un fatto che il fenomeno della cittadinanza attiva abbia vinto alcune sfide. Ma oggi si trova a un bivio, ad una scelta fondamentale: governare o essere governata? Oggi è il tempo della maturità.

Un'interpretazione generalmente accettata della crisi che ha colpito l'Occidente e l'Europa in particolare, ci dice che non di sola crisi economica e finanziaria si tratta, ma di vera e propria crisi di sistema, che include i sistemi di rappresentanza e di governo delle democrazie.
Che questa analisi sia fondata e che sia applicabile non al solo Occidente, lo dimostrano sia la nascita di movimenti di opposizione e di protesta di massa nel mondo arabo e in Russia, sia l'affermarsi di spinte populiste, razziste e reazionarie che non si riconoscono negli Stati democratici e nel pluralismo che li caratterizza. Il tratto che identifica i primi e che li differenzia da altre esperienze anche italiane, è l'assenza di riferimenti ideologici e religiosi prevalenti e la richiesta di una maggiore libertà delle persone e di una democratizzazione dei sistemi politici coniugata con il rifiuto del predominio di chi detiene le leve del potere economico e finanziario.
Se a questo quadro si aggiungono le novità positive che emergono in Africa dopo decenni in cui questo Continente era conosciuto solo per le sue tragedie, il grande sviluppo di Paesi che fino a poco tempo fa erano semplicemente inseriti nella categoria di Terzo Mondo (India, Cina, Brasile, Corea) e il movimento Occupy Wall Street negli USA, si comprende come sia difficile definire con un'unica formula o un'unica chiave di lettura (per esempio "crisi generale del capitalismo") la trasformazione in corso.
In questo contesto La crisi italiana si manifesta con caratteri specifici che ne aggravano sia le componenti economiche, che quelle finanziarie e sociali. Su tutte predomina una crisi del sistema di rappresentanza e di decisione che si percepisce e funziona come perno di un assetto sociale ed istituzionale che divora risorse e peggiora la qualità della vita per i cittadini, inquina, sperpera e distrugge l'ambiente e il territorio, e mina un sano ed equilibrato sviluppo del Paese. Ad avvantaggiarsene sono soggetti individuali e collettivi che non si curano minimamente del progresso economico, sociale e civile; sono le oligarchie e i gruppi di potere che vivono di puro sfruttamento sia delle risorse pubbliche che di quelle private, e che di questo sfruttamento fanno il loro unico obiettivo e il loro orizzonte.
Sono gli stessi che sono riusciti a prevalere su gran parte della politica, rinnegata come funzione sociale dedicata al governo della collettività e ridotta a territorio di conquista nel quale si sono (finora) mossi liberamente, a parte qualche contrasto rappresentato dall'azione della Magistratura.
Non tutti sono uguali e qualche distinzione va fatta, ma anche i partiti e i movimenti che vantano antiche radici ideali e popolari non hanno saputo rinnovarsi e correggere gli errori del passato, e sono stati contagiati da modelli di comportamento simili, se non proprio identici.
Tutti i partiti, in realtà, sono stati percepiti e giudicati dall'opinione pubblica come poggianti su oligarchie unite dalla ricerca del consenso e dalla difesa delle proprie prerogative e, soprattutto, dei propri privilegi.
D'altra parte l'origine dei mali dell'Italia non sta negli ultimi anni di governo, ma risale molto più indietro nel tempo e chiama in causa un'unità nazionale realizzata come accordo fra ceti dirigenti e una mancata crescita civile delle popolazioni.
La questione di fondo è se la politica possa tornare ad essere un momento di partecipazione collettiva nella ricerca di soluzioni e nella messa a punto di decisioni di governo, e se sia possibile puntare ad uno sviluppo del sistema democratico che si basi sull'espansione delle forme e dei canali di collaborazione dei cittadini.
Il primo problema che i cittadini in quanto tali si devono porre è di prendere parte al rinnovamento della politica e alla sua ripulitura dalle pratiche oligarchiche e corruttrici. Il punto centrale per il risanamento dell'Italia è questo, e nessuna manovra economico-finanziaria potrà farne a meno.
La politica appartiene ad ogni cittadino, che deve poter accedere alle informazioni, partecipare alle decisioni, particolarmente nella fase della loro formazione e ai controlli, senza necessariamente passare attraverso la delega ad un partito.

Immaginare il nuovo
Se alla base della crisi italiana vi è la crisi della rappresentanza e della politica, ma anche della cultura civile, non ci si può limitare a tamponare le emergenze. Occorre immaginare un diverso assetto dei poteri e della società che non risponda ad improbabili modelli, ma che sia coerente con la ricerca dell'interesse generale e con i valori indicati nella Costituzione che, tuttora, rappresenta l'elemento unificante ed ispiratore nel quale ci riconosciamo.
Ciò significa che il collegamento fra partecipazione e politiche pubbliche è fondamentale anche sapendo andare oltre (per arricchire e completare, non per annullare) le forme di rappresentanza che conosciamo, fondate sui partiti legittimati in sede elettorale.
Il nuovo, tuttavia, non consiste solo di una pluralità di forme di partecipazione alla politica, ma anche di una redistribuzione dei redditi che corregga le maggiori iniquità che sono state create negli ultimi decenni.
E nuovo è anche ridefinire i caratteri e le modalità di funzionamento del welfare, uno dei requisiti fondamentali per la stabilità sociale e per l'efficienza del sistema-Paese. Il welfare costituisce un elemento fondante del modello sociale europeo che definisce i rapporti fra cittadini e Stato e fra individui e collettività. Considerarlo una voce di spesa improduttiva è doppiamente sbagliato perché il welfare produce coesione, stabilità e capitale sociali e distribuisce reddito, il che come è noto, alimenta e sostiene l’economia.
Anche per il welfare, però, è essenziale la riforma della politica che, quindi, deve basarsi su poche, semplici parole chiave: trasparenza, competenza, responsabilità, solidarietà, partecipazione, merito.


Arricchire l’Italia
L’obiettivo generale di un movimento politico di partecipazione civica non può che essere quello di arricchire l'Italia attraverso la crescita del capitale sociale, la precondizione per una ricchezza diffusa, cioè meglio distribuita ed equilibrata sotto i profili economico, ecologico e sociale.
Il capitale sociale è fatto di persone, di percorsi di vita individuale che si intrecciano con la dimensione pubblica nella quale trovano le condizioni per affermarsi, di relazioni e di opportunità che possono intrecciarsi e rafforzarsi reciprocamente ed esprimersi liberamente.
Ben più dei numeri che misurano il Pil, il deficit e il debito, sembra questo l'approccio più utile anche per affrontare il nodo dell'economia e dei bilanci pubblici. I numeri contano e pure molto, ma nel lungo periodo risultano determinanti i fondamenti di un sistema Paese e, fra questi, il capitale sociale ha un posto di primo piano.
È ormai assodato infatti che i danni maggiori l'Italia li abbia avuti per l'affermarsi di pseudo-valori o disvalori quali la deresponsabilizzazione, l'individualismo e il disprezzo per il merito, per l'impegno individuale, per gli interessi della collettività e per tutto ciò che è pubblico. Questi sono i tratti culturali che hanno accomunato parte degli italiani, seppure con alterne vicende e non piccole contraddizioni fin dalla formazione dello Stato unitario.
La crisi economica e finanziaria impone dunque anche un nuovo modo di affrontare i diritti, che non possono essere tutelati e tanto meno promossi senza una visione diversa del governo del Paese. Tutela dei diritti significa, infatti, anche superare il tempo delle richieste settoriali che lasciavano immutati i meccanismi decisionali, ed impegnarsi per un cambiamento istituzionale, facendosi carico della responsabilità di indicare soluzioni credibili, praticabili e coerenti.

Una via d’uscita: la cittadinanza attiva
La via d’uscita per un cambiamento radicale è la cittadinanza attiva che identifica un tipo di rapporto fra cittadini e Stato non più fondato sulla separatezza, ma sulla condivisione e sulla responsabilizzazione. Occorre allora costruire gli strumenti, le sedi e i momenti nei quali la cittadinanza attiva possa esprimere la sua tensione politica come coinvolgimento pieno e responsabile nel governo della società, qualsiasi ruolo e funzione si eserciti.
Il cambiamento che occorre si deve realizzare anche attraverso la presa d'atto dei poteri dei cittadini e delle loro formazioni sociali e la facilitazione del loro esercizio; funzioni essenziali come la scelta degli obiettivi delle politiche e la verifica della loro attuazione devono essere svolte con la partecipazione civica.
La cittadinanza attiva diventa così il nuovo modo di vivere e far vivere la democrazia sviluppando le potenzialità dell'art.118; la trasparenza, l'informazione, la valutazione civica sono elementi fondanti a disposizione di tutti, con cui si possono superare l'oscurità delle decisioni, la disinformazione e l'estraneità del cittadino.

Fare il punto su Cittadinanzattiva
Una particolare responsabilità spetta a Cittadinanzattiva che, per prima, ha avvertito le potenzialità e il valore del ruolo del cittadino come elemento base dello Stato.
Per questo non ci si deve sottrarre ad un'analisi critica indispensabile per immaginare il nuovo e verificare il percorso finora compiuto.
Rileggendo la Carta d'Identità e lo Statuto si può rilevare uno scostamento fra ciò che era stato immaginato e la realtà che conosciamo.
Il dato di fondo è che appaiono molto indebolite l'identità di movimento politico e la sua riconoscibilità intorno ad una linea programmatica che unifichi le diverse istanze territoriali, regionali, di rete e nazionali.
Ciò che si percepisce è una sensibile divaricazione fra le analisi, i documenti, le strategie e gli obiettivi politici indicati nei momenti solenni della vita di Cittadinanzattiva, e la pratica quotidiana che dovrebbe tradurli in azioni concrete.
Sembra emergere una difficoltà ad affermare la proposta politica e la soggettività politica di Cittadinanzattiva.
Non va sottovalutata l'incessante attività delle reti o delle sedi territoriali e meno che mai quella della sede nazionale. Il problema è che spesso appaiono attività distinte le une dalle altre e non si traducono in iniziative politiche visibili e partecipate dagli aderenti e dai cittadini.
Sembra che si sia strutturato un sistema di autonomie che, invece di valorizzare la capacità di ognuno di contribuire al programma politico di Cittadinanzattiva, induce il fenomeno contrario per cui vi è una dispersione in tante direzioni diverse, e non ci si riconosce in una linea che unifichi intorno ad obiettivi chiari e perseguiti con continuità.

L'articolazione in reti, che dovrebbero corrispondere alle principali aree politiche nelle quali vuole essere presente Cittadinanzattiva, sembra mostrare limiti sia in termini di presenza sul territorio, che sulla capacità di informare e coinvolgere i cittadini e gli stessi aderenti, e sia anche in termini di elaborazione di politiche di settore.
Troppe volte attività di grande valore rimangono (e forse sono vissute come) patrimonio di una rete (o di una regione), e non sono vissute come espressioni di un unico movimento; troppe volte si concludono con la presentazione di documenti di fronte a platee di addetti ai lavori e di autorità, ma non promuovono iniziative diffuse, chiare e riconoscibili da parte dei cittadini, e prescindono dal raggiungimento o meno dei risultati.
L'assetto organizzativo, che doveva trovare il suo nucleo di base nell'assemblea territoriale, appare ancora indeterminato e disarticolato, non essendo concentrato su obiettivi ed azioni unitari e collettivi.
In questo modo, la grande scoperta di Cittadinanzattiva - la partecipazione che si esprime con la valutazione civica - non diventa una strategia di governo della società, ma si traduce in tanti progetti slegati l'uno dall'altro che, anche se collegati ad un progetto nazionale, restano privi della definizione di obiettivi politici e di una linea che li persegua.
La riprova di ciò sta nella difficoltà di sviluppare un'azione concertata su scala nazionale che si articoli su base territoriale e che parta da una condivisione di scelte fra i diversi livelli del movimento.
Questa situazione implica anche una difficoltà di far vivere la presenza organizzata sul territorio e si riflette sulla capacità di comunicare e di contribuire a formare l'opinione pubblica. Tre aspetti critici che non possiamo ignorare.
Anche l'articolazione degli organismi dirigenti ha sofferto in questi anni di un allontanamento dal disegno originario, perché una difficoltà seria si è registrata innanzitutto nel portare il cuore delle scelte politiche nella Direzione nazionale. La vera sede delle scelte politiche è stata la segreteria nazionale e occorre anche chiedersi se lo sia stata nella sua interezza o in una formazione più ristretta.
Analizzare ciò che è accaduto nel passato non è tanto importante quanto lo è la consapevolezza che qui sta il nodo cruciale della svolta che il congresso dovrebbe compiere.
Una svolta che riporti ad una centralità in quattro diversi ambiti:
obiettivi e linea politica;
assemblee territoriali e organizzazione regionale
;
Direzione nazionale
;
aderenti, che devono diventare i veri protagonisti, animare il dibattito e la ricerca e partecipare alle decisioni
.

Tornare ad essere non solo associazione, ma anche movimento significa, quindi, superare la lontananza fra la sede nazionale e quelle territoriali e rimettere al centro l’identità e il progetto politico di Cittadinanzattiva, che non consiste solo nel ricorso al metodo della partecipazione civica. Nei documenti prodotti dai coordinatori di rete per il congresso vi è sia il quadro della ricchezza degli spunti e delle idee ( e delle professionalità che si sono formate in questi anni), sia dei limiti profondi di questa modalità di costruire le politiche di Cittadinanzattiva. Limiti profondi che vanno rimossi se si vuole tornare a crescere sia in termini di rilevanza sulla scena pubblica che organizzativi.

Non solo riforma organizzativa, ma una scelta di fondo
In definitiva il problema non è quello di pensare ed attuare grandi riforme organizzative perché lo Statuto contiene già regole valide, magari da affinare e migliorare, ma valide tuttora. 
La prima riforma da fare, quindi, non è organizzativa bensì politica. Bisogna decidere se Cittadinanzattiva è un movimento/associazione fatto da cittadini che si rivolge all'opinione pubblica  o se tende ad assumere il profilo di un'agenzia che si attribuisce il compito di interpretare il punto di vista civico. Quest'ultima non sarebbe una scelta riprovevole, ma è una strada diversa da quella indicata nella Carta d'dentità.
In ultima analisi dobbiamo chiederci di cosa avrebbe bisogno l'Italia adesso e cosa possiamo fare noi. La scelta migliore è impegnarsi a rafforzare un movimento politico di partecipazione civica, ma questa è anche la scelta più difficile.
E' un grande successo che oggi tanti si richiamino alla cittadinanza attiva e chiedano di partecipare alle scelte politiche. E' un grande successo per chi lo aveva già scoperto più di trent'anni fa e ha seguito questa ispirazione con determinazione costruendo una realtà riconosciuta e stimata.
Oggi però questo non basta e bisogna decidere se andare oltre i successi consolidati e rinnnovarsi oppure se imboccare una strada diversa.
Io penso che Cittadinanzattiva non possa evitare di indicare e di impegnarsi per le scelte politiche, che servono non solo a tutelare i diritti dei cittadini, ma anche e forse soprattutto, a risanare l'Italia e a promuoverne la rinascita democratica, sociale, economica e civile.
Cittadinanzattiva può fare molto, non tutto, ma la sua parte sicuramente sì.
Questa è la svolta che desidero proporre al congresso.


Documento presentato nella Direzione nazionale del 17 e 18 marzo 2012 e firmato da:
Claudio Lombardi; Adriano Amadei, Annarita Cosso, Vincenzo Di Benedetto, Carlo Sanna, Mimma Modica, Fabio Pascapè, Emilio Bertolani, Franco Malagrinò, Marina Venezia, Maria Antonietta Tarsia, Maria Grazia Fichicelli, Paolo Baronti, Dante Reale, Piergiovanni Puglia.

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