Tutti siamo consapevoli della criticità della situazione che stiamo vivendo: una crisi che per durata e intensità ci pone degli interrogativi fondamentali sul futuro nostro e dei nostri figli. Sappiamo bene che i cicli nell'economia sono un elemento strutturale, ma sicuramente oggi stiamo pagando un lungo periodo di gestione assolutamente non previdente da parte delle nostre classi dirigenti. Saremo in grado di uscirne in modo adeguato, con una società ed un'economia più sana e più forte?


L'Europa resta il nostro faro, grazie ad una capacità di progettare il cambiamento in una prospettiva di lungo periodo. Come sappiamo i cardini di questo progetto di rilancio dello sviluppo nella proiezione al 2020 sono una crescita intelligente (basata sulla conoscenza e sull'innovazione), sostenibile (efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva), inclusiva (favorendo l'occupazione, la coesione sociale e territoriale). E' una sfida tutt'altro che semplice: ma dobbiamo credere molto nel modello socio-economico europeo, che vuole combinare la crescita economica sostenibile con elevate condizioni di vita e di lavoro, con la piena occupazione, la protezione sociale, le pari opportunità, l'inclusione sociale ed un processo decisionale aperto e democratico caratterizzato dalla piena partecipazione dei cittadini alle decisioni che li riguardano.
In Italia abbiamo quattro grandi problemi oggi: il debito pubblico, la distribuzione dei redditi, il welfare, la competitività.
L'indebitamento dello Stato non è necessariamente un grande problema di per sé se serve a finanziare lo sviluppo. In Italia la crescita sconsiderata del debito è servita soprattutto ad alimentare le rendite e oggi  siamo costretti a rimediare rapidamente all'incuria del passato. Noi cittadini stiamo accettando con grande maturità questo impegno, pensando sopratutto ai nostri figli, ma è necessario che lo sforzo sia adeguatamente distribuito su tutti. La distribuzione dei redditi, infatti, sta diventando sempre più diseguale: l'indice di diseguaglianza (Gini) continua a crescere; una famiglia su cinque oggi in Italia è in condizione di povertà;  i redditi da lavoro dipendente rappresentano il 75% dell'IRPEF.
A queste sempre più pesanti condizioni si associa un importante arretramento delle risorse per il welfare: per le pensioni, la salute, i servizi sociali, l'istruzione. Sono tutti ambiti in cui sarebbe necessario investire perché la vita media si allunga, cresce la domanda di servizi, la conoscenza è una risorsa sempre più essenziale; ma forse non c'è alternativa: dobbiamo abituarci a fare di più con meno.
Per questo sono ancora più inaccettabili gli sprechi della politica, la corruzione, le inefficienze amministrative che riducono inopinatamente le già scarse risorse disponibili. Nelle classifiche sulla corruzione di Trasparency International siamo piombati al 69° posto: all'epoca di Tangentopoli eravamo 33°; nella graduatoria della Banca Mondiale che misura la complessità degli adempimenti fiscali siamo al 163 posto su 183 paesi; deteniamo anche il primato in molti ambiti inerenti la numerosità dei provvedimenti legislativi: non è sorprendente che poi veniamo considerati il Paese dei commercialisti e degli avvocati.
Eppure malgrado questa situazione ci sono molte imprese italiane che nell'ultimo anno hanno aumentato le esportazioni nei Paesi emergenti, hanno mantenuto posizioni di leadership globale in particolare nicchie di mercato, hanno sviluppato un crescente orientamento green nelle proprie strategie e comportamenti. Ciò che ci manca è la capacità di fare sistema, per costruire un progetto per lo sviluppo che porti il nostro Paese fuori dalle sabbie mobili in cui si è impantano e che ci consenta di guardare al futuro con l'indispensabile ottimismo. I cittadini attivi in ciò sono una forza essenziale per spingere le nostre istituzioni ad essere previdenti e coerenti, per riconoscere a chi si impegna il giusto merito, ma soprattutto nel dare sostegno ad azioni collettive dal basso che spingano gradualmente il nostro bellissimo Paese fuori dal pantano.

 

Marco Frey

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