terzosettore 2015 02 15

E’ iniziato il nuovo anno e ci troviamo ancora in mezzo al guado della crisi. Non sappiamo quando ne usciremo, né come ne usciremo.
Sicuramente diversi.
Intanto però molte cose che riguardano il nostro “ambiente” si stanno modificando.
Molti di voi avranno seguito il dibattito sulla stabilizzazione dell’istituto del 5 per mille ed avranno visto con stupore che non si riesce a rendere stabile un istituto di libertà dei cittadini a favore di organizzazioni che tutelano beni comuni, mentre a favore dei partiti si fa tutto e subito.
Riccardo Bonacina nell’ultimo numero di Vita scrive una provocatoria lettera al terzo settore invitando lo stesso  a uscire dall’autoreferenzialità e a raccogliere 4 sfide.

 

 

 

La sfida di un nuovo Servizio civile che permetta a tutti i ragazzi italiani di sperimentare la bellezza dell’impegno civico e magari di una professione che concili idealità e reddito.

La sfida di un’Impresa sociale capace di giocare la partita, che alcuni vorrebbero già scritta alla voce “privatizzazioni e svendite”, dei beni comuni, acqua, trasporto locale, fabbriche post-fordiste.
La sfida dell’Accoglienza, della cultura della solidarietà e della responsabilità che deve produrre nuove forme e nuove proposte. Dall’abitare ai luoghi.
La sfida del Lavoro e dei nuovi lavori non avendo paura né della tradizione né dell’innovazione.
Credo che Bonacina colga nel segno quando parla di autoreferenzialità del mondo del terzo settore. La nostra legislazione per quanto attiene al mondo associativo è variegata e spesso contraddittoria. Negli anni passati è stato un fiorire di riconoscimenti vari, e di nascita di Albi nazionali e regionali per varie tipologie di associazioni: volontariato, promozione sociale, consumatori, cooperative sociali con Ministeri diversi tenuti a raccogliere, sovrintendere e regolare la tenuta degli stessi.
Ma se l’impostazione, l’idea generale, è il rispetto formale della legislazione, si va incontro a naturali distorsioni del senso dell’agire collettivo e anche individuale per la cura di beni comuni.
L’arretramento dello Stato sociale, la sua difficoltà a gestire fenomeni sociali nuovi e imprevedibili ha prodotto nel nostro paese una maggiore assunzione di poteri e responsabilità da parte di soggetti di “cittadinanza attiva” che nei diversi ambiti si sono fatti e si fanno carico ogni giorno di tutelare diritti vecchi e nuovi e di produrre partecipazione attiva.
Alcuni esempi: la crisi degli stati nazionali e della nozione di cittadinanza ha nel fenomeno delle migrazioni la sua più evidente sconfitta.
Pensate cosa sarebbe il nostro paese senza l’apporto economico, sociale e culturale dei migranti che ormai sono nel nostro, ma anche loro paese, da almeno due generazioni.
E pensate come gli interventi di carattere umanitario sarebbero possibili se il terzo settore impegnato sul campo da domani mattina cessasse di esistere.
Oppure, storia di questi giorni, pensate alla vicenda della Terra dei fuochi.
Vicenda di cui molti avevano conoscenza. La politica, l’economia, le istituzioni in genere. Anche il terzo settore. Che spesso è rimasto soggetto inascoltato sul fenomeno.
Poi succede che le persone in carne e ossa iniziano a dire basta alla situazione e scendono in piazza imponendo all’opinione pubblica tutta il problema come urgente.
Con questa assunzione di responsabilità forse si potrà fare in modo di risolvere questo problema. Ma se non ci fosse stata la mobilitazione civica nulla si sarebbe mossa per anni a venire.
Ancora un esempio. Il gioco d’azzardo. E’ una storia vecchia di ormai 15 anni da quando nel 1999 fu sperimentato per la prima volta in Italia, poi legalizzato con l’introduzione delle sale bingo e la successiva ma contrastata da chi scrive introduzione dei video poker e delle slot machine di “prossimità” piazzate ad ogni angolo delle città. Oggi un movimento composito fatto da organizzazioni civiche, enti, comuni, imprenditori piccoli e grandi si sta facendo carico di contrastare il fenomeno nelle sue varie e pericolose sfaccettature.
La politica sapeva, l’economia sapeva e anche noi sapevamo dei rischi, delle collusioni e delle zone grigie. Oggi, solo dopo che il fenomeno è esploso nella sua gravità, i riflettori si sono riaccesi. Ma se non ci fosse stata la “cittadinanza attiva” a mobilitare, informare, contrastare nulla sarebbe mai accaduto.
Ecco se il parametro per capire la rilevanza (non rappresentanza, ma rilevanza) dei cittadini attivi diventa la maggiore o minore presenza della stessa per l’assunzione di decisione, l’introduzione di un determinato problema nella agenda politica, la possibilità di investire e non spendere a pioggia denaro pubblico, se tutto questo fosse realizzato forse la Terra dei fuochi, il gioco d’azzardo, il fenomeno dell’immigrazione sarebbero tutti temi di interesse generale e non emergenze di questo paese.
Se invece la logica continua ad essere quello della rappresentanza, cioè della impostazione burocratica “Chi siete? Dove andate? Due fiorini!!!” dove l’amministrazione pubblica come un gendarme alla frontiere chiede e richiede alle organizzazioni civiche carte su carte, impegna le organizzazioni a sforzi organizzativi che distolgono tempo e risorse per ottemperare questi adempimenti mentre allo stesso tempo vengono tagliati i fondi destinati, il 5 per mille come atto di scelta libera da parte dei cittadini viene limitato costantemente, e in ultima analisi si preferisce così perché il collateralismo tra politica e associazioni non è mai morto ma continua a proliferare, ecco allora che la definizione di “terzo settore” è da accettare nel senso che viene dopo il primo e il secondo settore in una logica clientelare e di marginalità congenita dove il travaso dal “terzo settore” alla politica è il passaggio obbligato per lavare i panni sporchi della politica.
Quasi una formula magica: con il terzo settore viene più bianco. Questa la logica che permea molta politica e molta amministrazione.
Per questo, ma non solo, è arrivato il momento di crescere come cittadinanza attiva e recuperare le motivazioni più profonde, il senso radicale del nostro agire collettivo e personale, dove la responsabilità e il potere sono elementi fondanti come il diritto e il dovere.
Per dare attuazione “incarnando” nel quotidiano come ogni persona impegnata nella cittadinanza attiva l’ultimo comma dell’articolo 118 della Costituzione “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà".
Caro Bonacina credo che sia finita l’età dell’innocenza per il terzo settore e stia iniziando l’età della maturità della cittadinanza attiva.
Per questo allora credo che le 4 sfide che hai indicato debbano non solo essere raccolte e avviate a compimento, ma la sfida principale è e resta il rapporto con la politica e la piena autonomia della cittadinanza attiva da qualsiasi burocrazia ministeriale e logica di rappresentanza.
Tutto dovrà essere fondato realmente sull’ultimo comma dell’articolo 118 Costituzione e passare per il concetto di rilevanza nell’azione collettiva e il “favorire” quell’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale.
Solo così diventeremo grandi e si proseguirà un percorso di maturazione della cittadinanza attiva che, nel nostro paese, pur tra luci e ombre, è veramente una storia di successo.

 

Elio Rosati, Direzione nazionale di Cittadinanzattiva

Elio Rosati
Classe '69, laurea in Scienze Politiche, sposato con Tiziana, una meraviglia di figlia di nome Alessia, impegnato con passione nel movimento dal 1994 con diversi incarichi e responsabilità con particolare attenzione al territorio e alle politiche di promozione della cittadinanza attiva. Faccio parte dell'Ufficio Partecipazione e Attivismo Civico (PAC). Risolvere problemi il mio mestiere.

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