Seminario di Cittadinanzattiva – sede Taranto
Taranto 24 settembre 20120 - Sala di Federfarma

Relazione a cura di : Avv. Marina Venezia
Componente Direzione Nazionale di Cittadinanzattiva Onlus
Coordinatrice Regionale di Giustizia per i Diritti- Cittadinanzattiva

Lo scenario
Gli interessi e i diritti in gioco nella questione Ilva sono molteplici e riguardano diversi ambiti: la salute, l'ambiente, il lavoro ma non di meno anche l'informazione e la legalità e, per quel che sta accadendo, i rapporti tra Stato, Istituzioni e Poteri, possibili luoghi di conflitti tra tali organi.
Sono le preoccupazioni legate a questi possibili conflitti, poi, che ci induce a fare chiarezza sul ruolo e le prerogative che l'Associazione intende avere nel dibattito in corso, atteso che i cittadini hanno il diritto di essere informati correttamente anche sulle questioni che investono i rapporti tra Autorità Giudiziaria, Governo o Organi Istituzionali. Registriamo, infatti, che la confusione derivante dal dibattito in corso genera o potrebbe generare dei veri e propri "conflitti sociali" se non si ha ben chiaro lo scenario nel quale si muove ognuno degli attori coinvolti nella specifica vicenda.

Ritengo sia indispensabile, pur senza mettere molta carne a cuocere, avere un quadro piuttosto allargato delle "poste in gioco", salvo poi a prediligere , da parte nostra, tra le possibili azioni da mettere in campo, quelle che rivestono carattere di urgenza-emergenza per andare a toccare anche altri aspetti di tutela dei diritti messi in pericolo.
Quelli con carattere prioritario sono i diritti fondamentali della salute che, per sua natura, non è solo un diritto individuale ma che riguarda anche il diritto ad un ambiente sano e non inquinato, fonte di morte e pregiudizio alla salute del cittadino.
L'altro diritto irrinunciabile e che richiede altrettanta urgenza di tutela è il diritto al lavoro e alle garanzie di sicurezza dei lavoratori.
Dovremmo quindi occuparci, nell'immediato, di "fronteggiare", come Associazione, il pericolo che tali diritti subiscano ulteriori attacchi, pregiudizi e lesioni.
Si comprende bene, dal tenore dei diritti in gioco, che occorrerà fare riferimento a una complessa serie di norme da tenere presenti soprattutto perché il tema che vogliamo affrontare è quello della tutela delle persone in un'area industriale con tutte le problematiche ad essa connesse.
L'argomento da cui partire è quello dell'inquinamento e delle diverse tipologie che esso contiene.
Vi è infatti il rischio della lesione della salute umana e dell'ambiente inteso in senso ampio perché ricomprende la fauna, la flora, il suolo, l'acqua, l'aria, il clima il paesaggio come anche il patrimonio culturale.
Di questo dovremmo essere consapevoli anche perché , nonostante vi sia la necessità di intervenire su tutte le aree interessate dall'inquinamento, proprio per la connessione, diremmo oggettiva e soggettiva che vi è tra coloro che sono ritenuti responsabili del " disastro ambientale" del nostro territorio , l'area del nostro intervento dovrà essere mirato.

Le proposte
Una di queste aree è l'attuale procedura di rilascio dell'Aia e tutte le fasi ad essa connesse che ci devono vedere "parte attiva" nella proposizione di osservazioni e nel controllo dell'osservanza di quella che sarà eventualmente rilasciata.
Sull'Aia, CA condivide l'idea che occorre, innanzi tutto, verificare se l'Ilva possieda quei requisiti o prerequisiti per poterla addirittura ottenere stante le prescrizioni che sono contenute nell'ordinanza di sequestro come confermate dal Tribunale del Riesame atteso che non debbano essere impianti che diano luogo a produzioni nocive e che il fermo tecnico disposto dalla Magistratura tende proprio ad evitare e bloccare.
Senza entrare nel dettaglio tecnico , per la verità assai complesso, la cui descrizione affidiamo ai tecnici nostri alleati , il nostro compito dovrà essere senz'altro quello di pretendere il funzionamento al meglio degli strumenti partecipativi stabiliti dalla normativa in tema di procedimento ambientale ma soprattutto dall'art. 118 della Costituzione sorvegliando il buon andamento degli organi amministrativi e delle istituzioni perché rispettino e facciano rispettare le procedure e gli interventi delle Organizzazioni Civiche.
Collateralmente abbiamo anche l'interesse al procedimento penale pendente e che attualmente vede come imputati unicamente i responsabili Ilva.
Io credo , per quello che è scritto nell'ordinanza della Dr.ssa Todisco, nelle perizie espletate nel corso del procedimento penale e nel provvedimento del Tribunale del Riesame nonché per quel che si è appreso dalle intercettazioni che, tra i responsabili di questo disastro, potrebbero essere individuati anche dei pubblici amministratori e persino Organi dello Stato , che, a vario titolo, hanno concorso a determinare il disastro, le morti, le malattie, l'insicurezza dei lavoratori e che dovrebbero essere chiamati a "rendere conto" sia in via giudiziaria che in via civile quanto amministrativa dei danni già causati , prevenendo al contempo anche il pericolo di un pregiudizio futuro alla popolazione coinvolta.
Qui, a mio avviso, si tratta di agire per :

  1. Accertare, per vie brevi ma la tempo stesso scientificamente credibili , i danni già provocati, sia alla città ( intesa come ambiente inquinato : aria, fauna, flora, immagine della città e suo patrimonio culturale come diritti costituzionalmente riconosciuti);
  2. Rinvenire forme immediate di risarcimento e/o indennizzo di questi danni. Si potrebbe pensare ad una legge ad hoc per Taranto e i suoi cittadini ( come quella prevista ad esempio per le infezioni da sangue infetto di cui alla legge 210/92). Una legge, insomma, che risarcisca o almeno indennizzi, nell'immediato, le famiglie di coloro i quali sono deceduti per malattie connesse all'inquinamento e coloro che sono portatori di malattie connesse ;
  3. Ottenere che, nelle more, della realizzazione della cosiddetta "ambientalizzazione delle produzioni consentite" ( riconversione industriale e bonifiche) venga garantito il diritto al lavoro di tutti i lavoratori dell'Ilva senza che si abbia "perdita" dei posti di lavoro e comunque trovare forme di garanzia per loro e che non siano solo gli ammortizzatori sociali a tempo e a scadenza; significa anche rinvenire forme di garanzie patrimoniali che l'Ilva deve prestare per la realizzazione dei suoi piani di bonifica e riconversione. E qui potremmo chiedere al Governo di farsi garante di tutto questo in quanto la messa in pericolo della salute dei cittadini e dei posti di lavoro non deve essere solo un atto di impegno formale, ma deve tradursi in garanzie patrimoniali e finanziarie ( si è pensato a forme di fidejussione come quelle applicabili alla materia degli impianti di gestione dei rifiuti autorizzati dal D.Lgs. N. 152/2006 );
  4. Pretendere dalle Istituzioni e dalle Amministrazioni l'aggiornamento dei dati come quelli relativi appunto alle incidenze delle malattie nelle aree a rischio, nel registro di tumori , dei danni ambientali in ambito sanitario, atteso che precise leggi prevedono che la cittadinanza ne abbia espressa informazione.
  5. Indispensabile appare l'intervento nei procedimenti penali pendenti già nelle fasi di indagine e poi attivare, come Associazione, la "costituzione " quale parte civile in questi processi promuovendo, al contempo, "azioni " specifiche sul territorio di informazione ai cittadini colpiti dai danni alla salute per una loro eventuale costituzione personale in questi processi o per promuovere azioni di risarcimento singole o, ove possibile , nella forma collettiva. Sarei dell'idea di approfondire il meccanismo della class action o di azione collettiva da parte della nostra Associazione al fine di meglio chiarire "lo stato dell'arte" circa la sua eventuale applicazione e proponibilità, tenuto conto della assoluta sua in applicazione alla materia ambientale in genere;
  6. Promuovere in città dei seminari che potrebbero essere delle vere "giornate della cittadinanza" sui temi legati alla tutela ambientale , ai danni da inquinamento e alla salute. Penserei di attivare anche il " Pulmino dei diritti ambientali" con il quale fare un' "informazione di prossimità" su cosa davvero merita di essere difeso in questo momento storico in cui l'Ilva sta mettendo in campo il vile strumento della "paura" tra i lavoratori di perdere il posto di lavoro contrapponendolo a quello della difesa della loro salute e della legalità. Abbiamo bisogno di raggiungere i cittadini e i lavoratori per far comprendere loro che le Organizzazioni Civiche che in questo momento si stanno battendo per la difesa della salute e dell'ambiente non sono fatte di persone scalmanate, prive di scrupoli, insensate, ma di cittadini comuni anche dotati di competenze tecniche i quali, accomunati a coloro che sono stati già colpiti dalle morti e dalle malattie, intendono battersi per il ripristino del loro ambiente e della salute per il futuro di tutti noi. Occorre creare allora delle " alleanze" , trovare forme di intervento incisive per la diffusione di una informazione corretta e per evitare che una qualunque "manifestazione di protesta" dei cittadini o una raccolta di firme si trasformi in "rissa", in denunce contro gli stessi cittadini o i lavoratori che la promuovono e per evitare soprattutto che i tavoli di confronto con i cittadini nell'ambito della partecipazione loro garantita diventi luogo di "scontro" o occasione di denuncia da parte di Organi Istituzionali . Ovviamente occorre da parte di tutti osservare le regole e non violare le norme ma occorre anche , in questo momento, avere il coraggio di denunciare ciò che non funziona e di esprimere il nostro punto di vista di cittadini ( malati e lavoratori);
  7. Avviare immediatamente forme di controllo civico ( ma anche giudiziario) degli atti amministrativi prodotti da chi ci amministra e chiedere agli amministratori "conto" del loro agire . Chiedere conto all'Assessore competente sub materia, ai Dirigenti Asl del mancato funzionamento di apparecchiature sanitarie dedicate, della carenza di personale per il loro funzionamento. Vi è, infatti, una obiettiva emergenza sanitaria a Taranto e nelle sue strutture ospedaliere ed ambulatoriali volte a prestare assistenza, controlli clinici e strumentali ai tanti malati di cancro, vi è carenza di posti letto e di terapie mediche adeguate che costringe chi si è ammalato, per colpa altrui e per sue precise responsabilità, a dover continuare i viaggi della speranza alla ricerca di posti letto e terapie fuori regione;
  8. Occorre fare lobbyng , promuovere tavoli di incontro, creare Cabine di Regia, Osservatori che monitorizzino le situazioni e soprattutto attivare immediatamente le forme di Audit previste dalle Leggi in vigore per il controllo del sistema sanitario;
  9. Occorre sostenere l'azione della Magistratura, terzo potere dello Stato, affinchè non venga indebolita da informazioni scorrette e devianti , affinchè la sua azione rimanga un baluardo per la difesa dei diritti lesi e per il ripristino della legalità, affinchè i processi non finiscano con la prescrizione dei reati, affinchè i responsabili siano costretti a pagare i loro debiti con i cittadini. E qui occorre che CA, insieme agli altri, si impegni a sostenere e a promuovere azioni per una Giustizia efficiente, per sentenze emesse in tempi brevi sollecitando ogni forma di funzionamento del sistema Giustizia che sia in linea con il cosiddetto "Giusto Processo";
  10. Occorre far rispettare il principio del " chi inquina paga" così come previsto dalle leggi in tema di ambiente e noi, a tenore di quanto emerge dai processi incorso, abbiamo sotto gli occhi chi siano stati e chi siano i responsabili del disastro ambientale a Taranto , salvo poi a pretendere dallo Stato e dai suoi Ministri l' attivazione dei sistemi di applicazione di questo principio.
    In questi giorni il Ministro Clini, per la verità sollecitato in sede di incontro tenutosi a Taranto il 14 settembre proprio dal nostro Coordinatore di Assemblea territoriale Avv. Tarquinio a dare una risposta alla domanda "ma il Ministero da Lei rappresentato si costituirà parte civile nel processo?" ha fornito una risposta positiva alla domanda tanto che questa risposta istituzionale sta facendo il "giro" nei mass media. Oltre a questa risposta, ancora insoddisfacente , occorre conoscere da parte della cittadinanza cosa e quanto sarà chiesto ai responsabili, al gruppo Ilva in termini e come misura di risarcimento e soprattutto se il Ministero intende stare dentro il processo anche in questa fase delle indagini.
    Sappiamo bene che le autorizzazioni ( come quella dell'AIA) sono compito e prerogativa del Ministero dell'Ambiente e che la Magistratura non rilascia autorizzazioni. Ma il punto è quanto queste autorizzazioni siano adottate nel rispetto delle prescrizioni dettate oggi dalla Magistratura e soprattutto se una Autorizzazione possa mai costituire violazione di diritti costituzionalmente garantiti.
    Ciò cui di deve tendere è evitare che il tutto venga "trascinato" in un conflitto di attribuzioni o di poteri tra Organi dello Stato stesso, che diventi materia di scontro tra le parti e soprattutto che le difese pur legittime dei responsabili nei giudizi e nei processi, contrasti poi con le decisioni "politiche" volte a fronteggiare le emergenze, le urgenze e soprattutto la soluzione dei problemi legati ad evitare il mantenimento di situazioni di pericolo per la collettività tarantina.
    La prevalenza non potrà essere data a logiche di mercato ove occorre salvare profitti e garantire a tutti i costi produzioni nocive al solo fine di tenere "in ordine" l'economia del nostro Paese in quanto occorrerà contemperare gli interessi in gioco nel pieno rispetto dei principi della Costituzione.
    Ho la sensazione, rileggendo e sentendo le dichiarazioni dei Ministri, degli esponenti di partito, del sindacato e di altre forze sociali , che vi sia molto " scollamento" tra quel che si proclama di voler tutelare e quel che si tutela effettivamente.
    Non ci conforta sapere che ad esempio il Ministro dell'Ambiente intende costituirsi parte civile nel processo Ilva e poi apprendere che il Governo stesso non si attivi energicamente a controllare che gli atti e le prescrizioni a Riva diventino cogenti nel rispetto di quanto disposto dalla Magistratura, sulla scorta di studi scientifici acclarati da dati emergenti e rivenienti da altri Organi Pubblici.
    Finora, infatti, non abbiamo conoscenza di altre e diverse perizie e studi sul territorio che siano in palese contrasto con i dati raccolti dai Periti nominati nel procedimento in corso o con le indagini chimiche, epidemiologiche ed ambientali allegate al provvedimento si sequestro dei siti inquinanti.
  11. Occorre anche avviare uno "studio economico" dove la politica industriale sia studiata anche con il contributo e l'intervento dei cittadini al di là ed in aggiunta alle forme di rappresentanza politica classica ma con le forme di partecipazione loro consentite dalle Leggi laddove si potrebbe forse meglio contemperare il profitto con la responsabilità sociale di impresa, dove accanto al PIL si dovrebbe ragionare in termini di BIL, dove non si riesce ancor a comprendere il perché, nonostante Taranto "ospiti" la più grande acciaieria d'Europa, abbia poi un tasso di disoccupazione pauroso e che supera il 30% laddove dei profitti di Riva ne godono altre realtà territoriali ben distanti da Taranto;
  12. Diffondere e implementare le forme di partecipazione negli enti pubblici affinchè l'agenda delle politiche pubbliche sia piena di impegni con i cittadini e le scelte dei pubblici amministratori siano scelte condivise con loro. La Regione Puglia e Taranto, nella politica industriale, hanno dato un pessimo esempio finora dell'utilizzo delle forme di partecipazione ed un esempio è costituito dal fatto di aver stretto "accordi" con Riva scendendo a patti con lui ed accettando il suo "ricatto occupazionale" piuttosto che pretendere da lui, come da altri Organi dello Stato che il territorio e l'ambiente non venissero inquinati, che si pagassero i danni prodotti all'ambiente, alle colture oltre che al bestiame. I tarantini hanno assistito, ignari ed inconsapevoli, al "ritiro" degli atti di costituzione di parte civile nei processi dove poi Dirigenti del Gruppo Riva e i suoi rappresentanti sono stati riconosciuti colpevoli in via definitiva e ciò a fronte di misere offerte risarcitorie che certamente non ripagamo i morti e i malati lasciati da soli a fronteggiare i loro problemi.

Ma delle "scelte politiche" legate a questi accordi ne risponderanno chi amministra lo Stato, la Regione, la Provincia e il Comune , ai cittadini ed alle loro Organizzazioni è affidato il compito di vigilare e di lottare per la difesa dei loro diritti .

Nello scenario desolante in cui ci troviamo a dover intraprendere questa battaglia , vorrei anche fosse chiaro che non da meno importante è la lesione dei diritti sociali. L'intero "sistema di welfare" è messo in ginocchio atteso che i danni prodotti in materia ambientale e alla salute hanno fortissime ripercussioni di questo tipo. Le stesse prestazioni sociali e previdenziali da garantirsi con immediatezza ed efficienza sono messe in discussione. La Regione Puglia ed il Comune di Taranto in particolare non sono in grado di fronteggiare le emergenze dei disagiati né quello dei malati a causa dell'inquinamento . Certo si sa che molto dipende dal "taglio" delle risorse finanziarie ai pubblici enti , frutto della politica di contenimento dei costi e delle spese, ma è anche certo che, a fronte di una domanda ingente di prestazioni sanitarie e sociali dovute alla grave incidenza delle malattie legate all'inquinamento, vi è un'offerta insufficiente e del tutto inadeguata per cui i tanti malati di cancro della nostra provincia oltre a lottare per ottenere le prestazioni sanitarie di cui necessitano devono poi ancora lottare in un'aula giudiziaria per ottenere indennizzi, pensioni , invalidità negate dall'Inps il cui impegno è troppo spesso volto alla ricerca anche a Taranto di falsi invalidi, piuttosto che ad evitare che i tanti malati che rientrano nella tipologia di malattie della L.80 vengano sottoposti a inutili visite periodiche. E tanto in buona compagnia poi dell'Inail che nega malattie professionali dovute all'inquinamento e al disastro ambientale. E forse anche in questo settore si potrebbe pretendere un'attenzione maggiore dello Stato nel regolamentare le loro attività per il rispetto della Legge e l'erogazione dei benefici richiesti.
Avv. Marina Venezia-
Componente Direzione Nazionale di Cittadinanzattiva Onlus-
Coordinatrice Regionale di Giustizia per i Diritti- Cittadinanzattiva

In allegato a questa relazione vi è :

  1. un breve excursus delle leggi e normative , che si sono succedute in materia di tutela dell'ambiente nel caso di aree industriali (anche complesse), premettendo che questa disamina non è esaustiva perché non contiene la disciplina penale pure importante in vista della tutela dell'ambiente, ma che, tuttavia , appare sufficiente a dare un'idea dell'enorme quantità di discipline e strumenti giuridici che possono trovare applicazione in una singola area industriale1 di cui Taranto costituisce un esempio2.
  2. una riflessione giuridica sulla class action e sulle azioni collettive in ordine ad una eventuale possibile applicazione nel caso di specie .

 

  1. Allegato alla relazione di : Avv. Marina Venezia Seminario del 24.9.2012
    Norme sulle aree industriali

La gestione di un'area industriale, come ho anticipato, può comportare molteplici tipologie di inquinamento. In generale, vi è il rischio di lesione della salute umana e dell'ambiente, inteso in senso ampio, a ricomprendere fauna, flora, suolo, acqua, aria, clima, paesaggio e patrimonio culturale.
In questi anni vi sono state tante leggi e norme che hanno avuto l'obiettivo di evitare o comunque ridurre al minimo tali rischi.
Prima di tutte vi è la legge 8 luglio 1986, n. 349, recante "Istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale". L'art. 6, con i decreti attuativi D.P.C.M. 10 agosto 1988, n. 377 e D.P.C.M. 27 dicembre 1988 (applicati fino al 31 luglio 2007), ha introdotto la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) in ambito statale3. In ambito regionale essa sarà regolata dal DPR 12/4/1996 e dalle singole leggi regionali. La VIA si applica a tutti i progetti di opere che possono avere impatti elevati sull'ambiente, tra cui raffinerie di petrolio greggio, centrali termiche e altri impianti di combustione con potenza termica pari o maggiore di 300 MW, centrali nucleari, acciaierie integrate di prima fusione della ghisa e dell'acciaio, impianti chimici integrati.
Nel 1988 è stato emanato il DPR 203, recante "attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell'aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali". In esso si prevede una autorizzazione alle emissioni in atmosfera degli stabilimenti industriali.
La Legge 9/12/1998, n. 426, all'articolo 1, disciplina la realizzazione di interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, anche al fine di consentire il concorso pubblico. Il comma 4 individua, tra i siti di bonifica di interesse nazionale, quello di "Taranto", atteso l'alto livello di inquinamento dell'area e l'elevata compromissione delle diverse matrici ambientali e conseguente pericolo per la salute della collettività. Il SIN di Taranto è stato poi perimetrato con Decreto del Ministero dell'Ambiente 10/1/2000.
Successivamente, vi è il D. Lgs. 4/8/1999 n. 372 in materia di autorizzazione integrata ambientale (IPPC). In parziale applicazione della Direttiva 96/61/CE4, il decreto "disciplina la prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento proveniente dalle attività di cui all'allegato I; esso prevede misure intese ad evitare oppure, qualora non sia possibile, ridurre le emissioni delle suddette attività nell'aria, nell'acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti e per conseguire un livello elevato di protezione dell'ambiente nel suo complesso". Nell'allegato I sono ricomprese le seguenti attività industriali: raffinerie di petrolio e di gas, cokerie, impianti di gassificazione e liquefazione del carbone, produzione e trasformazione dei metalli (tra cui impianti di produzione di ghisa o acciaio, compresa la relativa colata continua di capacità superiore a 2,5 tonnellate all'ora, nonché impianti destinati alla trasformazione di metalli ferrosi mediante laminazione a caldo con una capacità superiore a 20 tonnellate di acciaio grezzo all'ora), industria chimica.
Il D. Lgs. 18/2/2005 n. 59 recepisce integralmente la Direttiva IPPC (diversamente dal D. Lgs. 372/1999) e prescrive la sottoposizione degli impianti riportati nell'allegato I ad una autorizzazione ambientale unica denominata AIA, sostitutiva di tutte le altre autorizzazioni ambientali eventualmente necessarie in base alle normative di settore. Il riferimento è all'elenco di cui all'allegato II (in cui rientrano Autorizzazione alle emissioni in atmosfera, Autorizzazione allo scarico di cui al D. Lgs. 152/1999, Autorizzazione alla realizzazione e modifica di impianti di smaltimento o recupero dei rifiuti di cui al D. Lgs. 22/1997). Viene anche previsto il coordinamento tra IPPC e sistemi di certificazione ambientale. Da sottolineare che la disciplina in tema di AIA va coordinata con gli articoli 216 e 216 R.D. 27/7/1934 n. 1265 ("Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie", c. d. TULLSS)5.
Significativo è poi il D. Lgs. 3/4/2006 n. 152, recante "Norme in materia ambientale", costituisce un testo organico (ma non esaustivo) in materia ambientale. Esso, tra l'altro, regola la Valutazione di Impatto Ambientale, la Valutazione Ambientale Strategica, i rifiuti, gli scarichi industriali, la bonifica di siti contaminati, i "Siti di Interesse Nazionale" ai fini della bonifica, l'Autorizzazione Integrata Ambientale6. Il c. d. "Codice dell'Ambiente" ha anche previsto il coordinamento tra VIA e AIA7, disponendo (nella versione in vigore il 31/7/2007) una integrazione facoltativa della VIA nell'AIA e successivamente la sostituzione dell'AIA con la VIA8.
In particolare, l'art. 29-quater disciplina la procedura per il rilascio dell'AIA. Il comma 15 dispone che "in considerazione del particolare e rilevante impatto ambientale, della complessità e del preminente interesse nazionale dell'impianto", possono essere conclusi specifici accordi tra le amministrazioni al fine di garantire, "in conformità con gli interessi fondamentali della collettività, l'armonizzazione tra lo sviluppo del sistema produttivo nazionale, le politiche del territorio e le strategie aziendali". Sono poi previsti accordi di programma (art. 246) con riferimento alla bonifica di siti contaminati, per l'eliminazione delle sorgenti dell'inquinamento e comunque per la riduzione delle concentrazioni di sostanze inquinanti. Ai sensi dell'art. 252, ai fini della bonifica possono essere individuati siti di interesse nazionale: viene ripresa la legge 426/1998. Inoltre, ai sensi dell'art. 252-bis, sono individuati siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale e lo sviluppo economico-produttivo, tra cui quelli di cui alla legge 426/1998 ed ulteriori (si veda il D.M. 18 settembre 2001, n. 468).
Per quanto riguarda l'area di Taranto, è stato stipulato apposito Accordo di Programma in data 11 aprile 20089 e, successivamente, vi è stato un Protocollo d'Intesa sul SIN di Taranto il 5 novembre 2009.
Il D. Lgs. 13/8/2010 n. 155 ha recepito la Direttiva 2008/50/CE sulla "qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa". La finalità è quella di evitare, prevenire o ridurre effetti nocivi per la salute umana e per l'ambiente nel suo complesso; preminente l'obiettivo di ottenere informazioni sulla qualità dell'aria ambiente (intesa come l'aria esterna presente nella troposfera, ad esclusione di quella presente nei luoghi di lavoro definiti dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81) come base per individuare le misure da adottare per contrastare l'inquinamento e gli effetti nocivi dell'inquinamento sulla salute umana e sull'ambiente e per monitorare le tendenze a lungo termine, nonché i miglioramenti dovuti alle misure adottate; mantenere la qualità dell'aria ambiente, laddove buona, e migliorarla negli altri casi; garantire al pubblico le informazioni sulla qualità dell'aria ambiente. Il predetto decreto stabilisce, tra l'altro, i valori limite per le concentrazioni nell'aria ambiente di biossido di zolfo, biossido di azoto, benzene, monossido di carbonio, piombo e PM10.
Importante rilevare che , alla normativa emanata a livello nazionale, si va ad aggiungere quella dettata in ambito regionale (un esempio è , nel caso della Puglia, la Legge Regionale n. 44/2008, recante "Norme a tutela della salute, dell'ambiente e del territorio: limiti alle emissioni in atmosfera di policlorodibenzodiossina e policlorodibenzofurani", nonché la Legge Regionale n. 3/2011, recante "Misure urgenti per il contenimento dei livelli di benzo(a)pirene").
Si arriva nel 2011 poi alla pubblicazione del rapporto "Sentieri" (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento), una ricerca coordinata dall'Istituto Superiore di Sanità (Iss) che ha analizzato il profilo di mortalità delle popolazioni residenti in prossimità di aree industriali in diverse regioni quali, a titolo esemplificativo: Puglia (Taranto), Liguria (Cogoleto), Umbria (Terni-Papigno), Toscana (Massa Carrara), Sardegna (Porto Torres).
Nel 2009, in proposito, il Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie ha finanziato un ulteriore progetto, avviato nel 2010 ed ancora in corso, relativo alla "Sorveglianza epidemiologica di popolazioni residenti in prossimità di siti contaminati", coordinato dall'Istituto superiore di sanità".
L'art. 57 del decreto legge 9/2/2012, n. 5 (convertito con legge 4/4/2012 n. 35), detta "Disposizioni per le infrastrutture energetiche strategiche, la metanizzazione del mezzogiorno e in tema di bunkeraggio". Il nuovo elenco di infrastrutture integra quello di cui al la legge 239/2004 ed include gli stabilimenti di lavorazione e di stoccaggio di oli minerali. Si prevede un procedimento unico autorizzatorio che deve essere coordinato con la VIA. Il comma 9 dispone: "Nel caso di attività di reindustrializzazione dei siti di interesse nazionale, i sistemi di sicurezza operativa già in atto possono continuare a essere eserciti senza necessità di procedere contestualmente alla bonifica, previa autorizzazione del progetto di riutilizzo delle aree interessate, attestante la non compromissione di eventuali successivi interventi di bonifica, ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152".
Sulla Gazzetta Ufficiale del 26 giugno 2012 è stato pubblicato il decreto legge n. 83/2012 (convertito con legge 7 agosto 2012, n. 134, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 11 agosto 2012), recante "misure urgenti per la crescita del Paese", allo scopo di emanare "disposizioni per favorire la crescita, lo sviluppo e la competitività nei settori delle infrastrutture, dell'edilizia e dei trasporti, nonché per il riordino degli incentivi per la crescita e lo sviluppo sostenibile finalizzate ad assicurare, nell'attuale situazione di crisi internazionale ed in un'ottica di rigore finanziario e di effettivo rilancio dello sviluppo economico, un immediato e significativo sostegno e rinnovato impulso al sistema produttivo del Paese, anche al fine di garantire il rispetto degli impegni assunti in sede europea". Dopo aver previsto una serie di misure economiche e fiscali, è stato inserito l'art. 27, dal titolo "Riordino della disciplina in materia di riconversione e riqualificazione produttiva di aree di crisi industriale complessa". Si dispone che il Ministero dello sviluppo economico adotti "Progetti di riconversione e riqualificazione industriale" nel caso di aree ove vi sia una crisi industriale non risolvibile con risorse e strumenti di competenza regionale. Detti progetti promuovono, tra l'altro, il recupero ambientale e sono adottati mediante accordi di programma.
Per quanto riguarda Taranto, in data 26 Luglio 2012 è stato stipulato (tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministro per la coesione territoriale, la regione Puglia, la provincia di Taranto, il comune di Taranto, il Commissario straordinario del porto di Taranto) il Protocollo di intesa per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto. Nel Protocollo si fa riferimento all'art. 15 della legge 7/8/1990, n. 241, che attribuisce alle Pubbliche Amministrazioni la facoltà di concludere accordi tra loro per lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.
Il 9 agosto 2012 è entrato in vigore il decreto legge n. 129/2012, recante "Disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio della città di Taranto". Il predetto decreto è stato emanato al fine di "fronteggiare e superare le gravi situazioni di criticità ambientale e sanitaria accertate in relazione al sito di bonifica di interesse nazionale di Taranto, individuato come sito di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale, al fine di accelerarne il risanamento ambientale e, nel contempo, di sviluppare interventi di riqualificazione produttiva e infrastrutturali, anche complementari alla bonifica, nonchè di individuare misure volte al mantenimento e al potenziamento dei livelli occupazionali, garantendo in tale modo lo sviluppo sostenibile dell'area". Nel D. L. 129/2012 l'area industriale di Taranto è riconosciuta quale area in situazione di crisi industriale complessa ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 27 del decreto-legge 22 giugno 2012 , n. 83. Per assicurare l'attuazione degli interventi previsti dal Protocollo d'intesa del 26 luglio 2012, è stato nominato un Commissario straordinario autorizzato ad esercitare i poteri di cui all'articolo 13 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, e successive modificazioni.
Indubbiamente appare difficile dare un giudizio circa l'efficacia di queste disposizioni, susseguitesi nel tempo, le quali, in certi ambiti, sono davvero ipertrofiche e difficilmente coordinabili tra loro laddove in altri settori vi è ancora una certa inerzia del legislatore11 (un esempio è la disciplina della VIA). Non vi è dubbio, anche , che la mancanza di certezza del diritto rende ardua, da un lato, la gestione dei siti industriali (soprattutto in situazioni complesse) e, dall'altro, una tutela concreta dell'ambiente. Ciò crea pesanti ripercussioni sulla salute umana e ci allontana dalla meta dello sviluppo sostenibile12.

BIBBLIOGRAFIA
1 Tenendo poi presente che la tutela dell'ambiente richiede "l'utilizzo di una molteplicità di strumenti giuridici: da quelli propri del diritto amministrativo, ad istituti di diritto civile o al tipico sistema sanzionatorio penale, dagli strumenti di natura cogente al ricorso a quelli volontari e negoziali, sino al cosiddetto soft law": così G. Spina, Strumenti di tutela dell'ambiente: dal diritto penale ai sistemi (volontari) di gestione ambientale, in Ambiente & Sviluppo, 7/2012, pag. 649. Il riferimento è, ad esempio, al sistema UNI EN ISO 14001:2004 e alla registrazione EMAS.
2 Un altro esempio può essere l'A.C.N.A. di Cengio e Saliceto: sul punto, si veda A. Paire, La bonifica dei siti inquinati nella realtà piemontese: profili normativi e amministrativi, in Ambiente & Sviluppo, 5/2012, pag. 421.
3 Essa costituisce una prima applicazione della Direttiva 85/337/CEE, che è stata oggetto di successive modifiche ed è stata poi codificata con la Direttiva 2011/92/UE.
4 La Direttiva nel corso degli anni è stata modificata in modo sostanziale e a più riprese; pertanto, è stato ritenuto necessario provvedere alla codificazione della stessa con la Direttiva 2008/1/CE, entrata in vigore il 28/2/2008.
5 Sul punto, si veda S. Maglia, Attualità della disciplina delle industrie insalubri di cui agli artt. 216 e 217 TULLSS, in Ambiente & Sviluppo, 5/2012, pag. 415.
6 Sul punto, si veda anche A. Muratori, Autorizzazione integrata ambientale: a presto un ulteriore restyling, in Ambiente & Sviluppo, 4/2012, pag. 305.
7 Problemi di coordinamento si sono posti anche tra l'autorizzazione unica alla costruzione e all'esercizio di un impianto che utilizza fonti rinnovabili (ex art. 12 D. Lgs. 387/2003), VIA e AIA: sul punto, A. Milone, Il procedimento autorizzatorio degli impianti di produzione di energia rinnovabile: rapporti con VIA e AIA, in Ambiente & Sviluppo, 12/2009, pag. 1123.
8 Si veda A. Muratori, VIA e AIA: affinità e differenze di finalità e contenuti tra giurisprudenza e norme "espresse", in Ambiente & Sviluppo, 6/2012, pag. 539.
9 In applicazione dell'art. 20, c. 5 del D. Lgs. 59/2005. Sul punto si veda A. Buonfrate, AIA e impianti di rilevante impatto e preminente interesse nazionale: l'accordo dell'«area industriale di Taranto», in Ambiente & Sviluppo, 7/2009 pag. 646 e 8/2009, pag. 733.
10 Quale esempio di difficoltà di coordinamento tra normative in materia ambientale mi si consenta di rimandare a V. Cavanna, LA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE (V.I.A.) E IL SUO COORDINAMENTO CON ALTRI PROCEDIMENTI PER LA TUTELA DELL'AMBIENTE. Quadro di sintesi aggiornato alla legge 23 Luglio 2009, n. 99, in http://www.ambientediritto.it/dottrina/Dottrina_2009/via_cavanna.htm. Si veda anche S. Valeri, Il coordinamento tra le procedure di AIA e VIA in relazione agli impianti produttivi già esistenti: l'esperienza della Regione Abruzzo, in Ambiente & Sviluppo, 4/2012, pag. 325.
11 Sul punto, A. Muratori, Se il legislatore (ambientale) è ... di memoria corta: ke discipline «mutilate» per omessa emanazione delle norme esecutive, in Ambiente & Sviluppo, 3/2009, pag. 205, 4/2009, pag. 305, 6/2009, pag. 528.
12 Sul punto, F. Giampietro, I primi vent'anni della Rivista ... e le ultime leggi sull'ambiente, in Ambiente & Sviluppo, 5/2012, pag. 405. Si veda anche A. Muratori, La controriforma «a rate» del T.U. ambientale: per la Parte Quinta, una «proposta indecente», in Ambiente & Sviluppo, 7/2010, pag. 605. Sulla nozione di sviluppo sostenibile e l'efficacia della VIA, mi si permetta il richiamo a V. Cavanna, Note sulla Valutazione di Impatto Ambientale e lo sviluppo sostenibile, in http://www.ambientediritto.it/home/dottrina/note-sulla-valutazione-di-im.... Si veda anche F. Fonderico, Sviluppo sostenibile e principi del diritto ambientale, in Ambiente & Sviluppo, 10/2009, pag. 921.

Sulla CLASS ACTION
L'istituto della class action è stato introdotto nella legislazione italiana con la legge 99 del 23 luglio 2009, che ha modificato l'articolo 140-bis del Codice del consumo rendendo (teoricamente) percorribile la strada dell'azione risarcitoria collettiva a partire dal gennaio del 2010. In pratica, si tratta di consentire a chi ritiene di essere stato danneggiato di mettersi insieme ad altri che hanno subito lo stesso tipo di danno e avviare così una causa collettiva. Contro chi? Soprattutto, in teoria, contro i colossi del settore privato: banche, industrie, aziende, corporation. Il singolo cittadino non si imbarcherebbe mai in una simile impresa, lunga e costosa: avvocati, perizie, ricorsi. Non solo: i tribunali competenti per l'esame delle richieste d'ammissibilità delle cause sono pochi (undici in tutto) e accorpati: così, gli aostani dovrebbero rivolgersi al Foro di Torino, a trentini e friuliani verrebbe chiesto di recarsi a Venezia, i lucani e i calabresi sarebbero convocati a Napoli, mentre a Roma finirebbero giocoforza tutti i marchigiani, gli umbri, gli abruzzesi e i molisani. Ma l'unione, come dice il proverbio, fa la forza. E allora, avanti tutta: almeno a parole.
La class action cosiddetta "all'italiana" è un insieme di promesse non mantenute, meccanismi farraginosi, paletti spesso insuperabili ed enormi difficoltà procedurali. Ci provò per primo il governo Prodi, che fece inserire nella Finanziaria del 2007 alcune norme che ebbero vita breve, complice la crisi che avvenne di lì a poco. Subentrato Berlusconi a Palazzo Chigi, iniziò subito un valzer di rinvii.

Nel 2008, Confindustria chiese alcuni mesi di tregua : «Vogliamo ridiscutere», spiegava Emma Marcegaglia, «alcuni punti per noi penalizzanti, a partire dall'ammissibilità delle cause: oggi qualsiasi gruppo potrebbe promuoverne una». Il ministro Claudio Scajola bloccò la norma mentre Giulio Tremonti, da parte sua, avrebbe voluto vietare le azioni collettive contro lo Stato, temendo oscure vendette da parte del "partito dei giudici". Un anno e mezzo dopo, finalmente, ecco la modifica del Codice di consumo. Con partenza fissata al primo gennaio 2010 e retroattività consentita sino al 15 agosto 2009, data d'entrata in vigore della legge.

I paletti
In realtà, la montagna ha partorito il topolino. Innanzitutto, per avviare una class action serve il ricorso al tribunale da parte di uno dei soggetti coinvolti. Una volta ottenuta l'aggregazione di tutti gli eventuali cointeressati, l'immaginario signor Rossi dovrebbe garantire a sue spese un'adeguata pubblicizzazione. E' evidente che, senza le associazioni di consumatori, il nostro non andrebbe da nessuna parte, tanto più con la spada di Damocle di una condanna a pagare le spese in caso di sconfitta. Ma è vero anche il contrario: le associazioni avrebbero voluto essere libere di proporre cause a nome dei consumatori, ma senza l'obbligo di mandato. Punto secondo: «C'è un grosso problema di costi», spiega l'avvocato Simone Filonzi dell'Adoc, «perché la legge chiede che, una volta ottenuta da un tribunale l'ammissibilità di una causa, si debba dare la massima pubblicità al cosiddetto "opt in", ovvero alla campagna di adesioni, affinché ciascun potenziale danneggiato venga informato della possibilità di inserirsi». Ma chi paga pagine e pagine di pubblicità sui maggiori quotidiani nazionali? «Abbiamo sostenuto che la pubblicizzazione potrebbe avvenire attraverso Internet: più di un giudice ha ritenuto la misura inadeguata». Punto terzo, il più importante: la norma prevede che i consumatori riuniti nell'azione collettiva debbano presentare situazioni "identiche". E qui viene il casino.

Doveva essere un'azione dagli effetti prorompenti quindi ma nella sua ultima versione , quella cioè dopo la modifica intervenuta con la legge sulle liberalizzazioni nel 2009 pare che abbia perso la sua reale incidenza.
Senza farne un'analisi troppo approfondita dal punto di vista giuridico-legale, una dei suoi requisiti essenziali è che essa può essere promossa soltanto in presenza di un rapporto contrattuale direttamente sussistente tra le parti.
I consumatori speravano infatti in una normativa forte contro gli abusi di banche, assicurazioni e grandi aziende, senonchè , dopo due anni di rinvii, l'azione risarcitoria collettiva è entrata in vigore con molte limitazioni che ne fa una vera e propria corsa a ostacoli
Intanto bisogna sfatare l'idea che essa possa essere assimilabile a quella esistente negli Usa in quanto in Italia concetti come libero mercato, vera concorrenza e regole ferree stentano ad avere un reale attecchimento perché si preferiscono le rendite di posizione, i veti corporativi e un'interpretazione 'elastica' delle leggi.

Siamo lontani dagli USA per l'applicazione di una class action come lì concepita se si confronta la loro antica normativa sulla class action (azione collettiva risarcitoria a tutela dei cittadini) con la nostra. Come irrealizzabile in Italia potrebbe essere un mega-indennizzo come quello da 4,4 miliardi di dollari che i produttori di sigarette furono costretti a riconoscere ai consumatori d'Oltreoceano. Negli Usa la tutela dell'utente è sacra e ogni anno si promuovono circa 20 milioni di cause di questo genere tra collettive e individuali. In Italia,invece, si è partorita una legge che , al di là dei proclami di essere un meccanismo di difesa degli utenti e poco ha a che fare con una vera class action. Si potrebbe ritenere quindi che questa legge sia il frutto di un vero "pasticcio all'italiana" , un ibrido anche se da qualcuno è stata definita una specie di "conciliazione collettiva". Di fatto, e come ci attestano i dati a disposizione circa la sua reale applicazione e i risultati in capo ai consumatori, la nuova normativa, partita dopo mille incertezze e rinvii, funziona come un coltello senza lama o come una bicicletta senza pedali. Invero, di questo hanno esultato proprio i "soggetti" contro i quali dovrebbe operare tanto da piacere a Confindustria, alle banche, alle assicurazioni e alle società quotate in Borsa mentre invece lo scontento pervade le associazioni dei consumatori e le authority indipendenti.

E' bene precisare che la LEGGE TUTELA SOLO I DIRITTI "IDENTICI" nel senso che il testo dice che l'azione collettiva vale se i diritti da tutelare, e dunque i danni subiti, sono "identici". La prima difficoltà consiste infatti proprio nel dare una giusta interpretazione a tale aggettivo. Se presa alla lettera, la norma blocca di fatto molte cause che si basano su questioni non sovrapponibili ma sostanzialmente convergenti. L'altro problema sta nel fatto che le Associazioni dei consumatori non possono farsi promotrici dirette della causa in quanto il soggetto proponente è il singolo cittadino che può conferire mandato ad un difensore privato oppure ad una delle associazioni di consumatori.

Nello specifico del cosiddetto "DANNO AMBIENTALE" , essa, allo stato, è del tutto improponibile . Intanto vi sono dei problemi per il singolo di agire per il ristoro diretto del danno ambientale di cui è titolare il Ministero dell'Ambiente . Ma in ogni caso, la class action esclude le responsabilità extracontrattuali legate a incidenti o inefficienze dell'attività produttiva come ad esempio i casi di inquinamento ambientale. E' il danno alla salute o ad altri beni violati della persona che può consentire l'azione collettiva.
La legge inoltre è un vero e proprio salvacondotto per le aziende che gestiscono servizi pubblici oppure di pubblica utilità, tipo l'Alitalia o le ex municipalizzate perché , nella pratica, se pure dovessero perdere una causa risarcitoria collettiva, queste società potrebbero essere condannate al massimo a quanto garantito da loro agli utenti nelle carte dei servizi. Tradotto in cifre, il risarcimento sarebbe pari a quello di un biglietto o di una bolletta, niente a che vedere con gli indennizzi eclatanti delle class action americane.
Infine, tutti quei rinvii e tentennamenti sono stati ben orchestrati per evitare l'applicazione della legge in un momento storico in cui nel nostro Paese si stavano celebrando processi contro grosse società e banche (vedi Cirio e Parmalat, ad esempio), laddove si prevede che la legge si applica solo sugli illeciti compiuti dal 2010 in poi. Insomma uno scandalo ed un lasciapassare.

I PROBLEMI di competenza
Un'ulteriore limitazione riguarda la competenza territoriale dei giudici. Infatti il procedimento può aver luogo soltanto presso il tribunale del capoluogo di regione in cui ha sede l'impresa interessata. Questo significa che se il danno provocato investe cittadini sparsi per tutta la nazione, i danneggiati devono comunque spostarsi in massa nel capoluogo cui fa riferimento la sede dell'azienda. Roma, però, copre anche Marche, Abruzzo, Umbria e Molise, mentre Napoli si fa carico delle cause di Calabria e Basilicata.

A ciò devono aggiungersi i costi della causa promossa con la class action e i RISCHI PER IL PROPONENTE in caso di condanna.
Un costo enorme è rappresentato dalla pubblicità della causa, che è condizione essenziale della procedibilità, e che è a carico di chi promuove la causa stessa. In più il giudice può comunque dichiarare l'azione inammissibile per un conflitto di interessi, per infondatezza manifesta oppure se manca l'identità dei diritti individuali da tutelare. Quando la class action è giudicata inammissibile, pertanto i promotori, oltre ad aver pagato la pubblicità, rischiano persino di dover risarcire l'impresa chiamata in causa (in pratica avviene l'equiparazione a quella che il codice di procedura civile definisce 'lite temeraria').

Un settore del tutto escluso dalla CLASS ACTION è quello di poter ottenere un risarcimento del danno contro gli atti della P.A. che creano disservizi perchè la legge non prevede risarcimenti per il proponente il quale può ottenere solamente una sanzione interna della PA e l'obbligo per gli uffici di adeguarsi a degli standard di efficienza che saranno fissati con appositi decreti.

Questi dati già spiegano il perché la Class action non funziona e finora non ha prodotto grandi risultati a coloro i quali avevano l'aspettativa di tutelarsi dai sorpusi e dalle condotte invasive delle società commerciali. Se pensiamo infatti che da quando c'è la legge che prevede le azioni collettive una sola è quella vinta ( ed è quella promossa contro il ministero dell'Istruzione per le cosiddette classi pollaio , il dato è sconfortante se si pensa che le corporation private (banche assicurazioni etc) l'hanno sempre fatta franca.
In verità, si minaccia di attivarla ma poi ci si arresta. L'ultima minaccia, o promessa a seconda di come la si voglia vedere, non poteva che essere legata al naufragio della Costa Concordia: «Class action internazionale 125 mila euro per ogni passeggero». Vedremo come va a finire.
Sicchè questo unico successo in due anni è un misero bilancio, a fronte dei molti proclami.
Rimango convinta ( e credo di essere i buona compagnia) del fatto che aver concepito la class action come emerge dal suo testo all'italiana è un fatto voluto per diminuire il potere e i diritti dei consumatori e non per tutelarli...

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